Demenze
La demenza di Alzheimer è stata descritta per la prima volta nel 1907 dal neurologo tedesco, da cui prende il nome, Alois Alzheimer, nonostante siano passati molti anni si sa ancora molto poco della malattia.
E’ una malattia degenerativa progressiva e irreversibile di lunga durata che comporta la perdita della capacità di pensiero, di giudizio, di memoria, di comunicare, di interagire con il mondo circostante e di assolvere le normali attività quotidiane.
Oggi si calcola che le persone malate di demenza siano circa 800.000 in Italia, i servizi sociosanitari e socioassistenziali sono ancora impreparati a rispondere in modo adeguato ai diversi bisogni di cui questo tipo di utenza necessita e a far fronte, nei prossimi anni ad una tale emergenza sanitaria.
Qui di seguito forniamo uno specchietto riassuntivo delle caratteristiche delle Demenze; per ulteriori dettagli vi invitiamo a visitare la sezione Contenuti del nostro sito.
L’alzheimer è una patologia degenerativa che determina una continua ed irreversibile distruzione delle cellule cerebrali.
Si manifesta con disturbi della memoria, del linguaggio, dell’orientamento, deficit del pensiero astratto e della capacità di giudizio, alterazioni del comportamento e dell’umore.
E’ la causa più frequente di demenza e colpisce circa il 10% della popolazione anziana.
La sua diffusione aumenta con l’età con un picco tra i 75 e gli 85 anni, ma può presentarsi anche al di sotto dei 65 anni. Non è una conseguenza dell’invecchiamento!
La durata media è di 10/12 anni, ma esiste una grande variabilità individuale.
Non è una malattia ereditaria, esistono infatti solo poche famiglie in cui è stata riconosciuta una ereditarietà.
Sottopone chi si prende cura del malato ad un pesante carico assistenziale ed emotivo.
Demenza lieve: Perdita modesta della memoria, soprattutto per gli eventi recenti, tale da interferire con le attività di vita quotidiana. Alcune difficoltà nell’orientamento temporale e nell’esecuzione di problemi complessi. Abbandono di hobbies ed interessi.
Demenza moderata: Perdita severa della memoria, difficoltà nell’orientamento spaziale e temporale. Necessità di aiuto per vestirsi e curare la propria igiene personale; severa difficoltà a risolvere problemi complessi.
Demenza grave: Perdita grave della memoria, incapacità di dare giudizi o di risolvere problemi. Necessità di molta assistenza per la cura personale, incontinenza urinaria.
Demenza molto grave: Severo deficit del linguaggio o della comprensione, problemi nel riconoscere i familiari, incapacità a deambulare in modo autonomo, problemi ad alimentarsi autonomamente e a controllare la funzione intestinale o vescicale.
Demenza terminale: Totale incapacità di comunicare, anche in modo non verbale, allettamento, incontinenza, deve essere alimentato talora anche in modo artificiale.
La famiglia si assume in genere, il maggior carico assistenziale del malato di Alzheimer e, all’interno di essa, un membro in particolare, il caregiver cioè, colui che presta le cure è chiamato a diventarne il riferimento principale.
I caregiver, sono nell’ordine:
figlie 40%
nuore 18%
mogli 15%
figli maschi 14%
mariti 6%
La percentuale più ampia è quindi di sesso femminile e l’età media è compresa fra i 55 e i 60 anni.
Naturalmente il grado di avanzamento della malattia ha una relazione diretta con l’impegno richiesto. Per la maggior parte dei caregiver, l’assistenza al malato di Alzheimer si aggiunge allo svolgimento di altri ruoli professionali, familiari, genitoriali con tutte le conseguenze che ciò comporta sulla dimensione affettiva, la disponibilità di tempo, lo stress psicofisico.
Quando una famiglia scopre che all suo interno un membro è malato di Alzheimer si trova a dover affrontare un momento critico, che a volte dura anni, e che le richiede una ristrutturazione interna faticosa e complessa. Ristrutturazione che deve avvenire a molti livelli e che richiede un particolare sforzo, non solo per ripristinare una certa funzionalità familiare, ma anche perché ciò avvenga nel minor tempo possibile.
I problemi comportamentali e i deficit cognitivi del paziente, creando una totale dipendenza del paziente dal caregiver, minano l’equilibrio psicofisico del caregiver. E’ importante che il caregiver apprenda alcune strategie di comportamento utili per una migliore relazione con il paziente e una migliore gestione delle conseguenze dalla malattia.
Per il caregiver, prendersi cura di un malato di demenza significa esprimere la personale creatività nella relazione con il malato.
Le strategie, la creatività, la sensibilità, la conoscenza, la formazione aiuteranno il caregiver a vedere il proprio caro non unicamente come malato ma anche come una persona con risorse che devono essere identificate, mantenute e potenziate. Questo modo di curare è un mezzo che permette di migliorare la qualità della vita di tutte le persone coinvolte nella malattia.
L’inizio della malattia non rende sempre facile e immediato il riconoscimento diagnostico della patologia e questa è la prima difficoltà che la famiglia si trova ad affrontare.
Con il progredire della malattia, il caregiver attraversa diverse fasi di coinvolgimento personale passando dalla semplice supervisione delle attività che il malato è ancora in grado di fare, a un successivo aumento di responsabilità determinato dalla gestione di problemi comportamentali, sino ad affrontare l’ultimo stadio della malattia che comporta uno stato di totale dipendenza. Ogni fase comporta inoltre implicazioni etiche che la famiglia deve affrontare.
Smarrimento iniziale – E’ il momento della diagnosi, in cui si mescolano insieme incredulità, smarrimento e sbandamento, viene meno la condizione per condurre serenamente la propria esistenza, si vive con l’ombra inquietante di un male di cui si conosce in quell’istante solo l’inesorabilità e di fronte al quale si è totalmente inermi.
Negazione – Di fronte alla malattia una delle prime più comuni reazioni umane è la negazione, cioè il rifiuto di credere vero ciò che sta accadendo al malato e, di riflesso a noi. E’ come se la nostra mente prendesse le distanze dalla gravità della malattia concedendosi del tempo prima di affrontare la realtà e tutto il dolore che porta con sé.
Ansia e ipercoinvolgimento – Con il passare del tempo la consapevolezza della natura della malattia è maggiore, ciò può provocare una forte ansia, che spesso si traduce in un atteggiamento volto al “bisogno di fare” per avere la mente occupata. La tendenza comune è quella di divenire iperattivi e di cercare di sostituirsi in ogni modo al malato laddove egli mostra difficoltà: vogliamo aiutarlo, impedirgli di fare male le cose o di doverle rifare due volte, evitando così al malato e a noi la frustrazione dell’insuccesso.
Senso di colpa – Ci possiamo sentire in colpa non solo per aver perso la pazienza durante una giornata faticosa, o perché consideriamo il nostro comportamento spesso troppo intollerante, ma possiamo anche sentire il peso del ricordo di alcune situazioni di contrasto con lui, sia precedenti che successive all’esordio di malattia. In ogni caso, ci sentiamo in colpa perché amiamo il nostro caro e percepiamo tutta la sua fragilità. I sentimenti negativi vanno gestiti, non rifiutati o repressi.
Rabbia – Man mano che la malattia progredisce ci rendiamo conto che il nostro continuo investimento di energie per riportare il malato alla condizione “normale” non può andare a buon fine. Ecco nascere il sentimento di forte delusione, di fallimento che spesso produce inesorabilmente irritazione, nervosismo, rabbia. Di fronte a momenti di rabbia, più che colpevolizzarci, è utile cercare di avere un aiuto nella assistenza e parlare con altri che hanno avuto o che stanno affrontando la nostra stessa esperienza.
Accettazione – E’ il momento in cui si accettano e si affrontano le sofferenze psicologiche per poterle finalmente superare, sviluppando un nuovo equilibrio personale e familiare. Questo può portare a chiedere l’aiuto degli altri e a valutare realisticamente le proprie forze.
Rabbia: atteggiamenti aggressivi nei confronti del malato e di altri familiari
Ritiro sociale: perdita del desiderio di incontrare altre persone, di uscire di casa, di svolgere attività prima considerate piacevoli
Ansia: enorme preoccupazione rispetto alle decisioni da prendere
Stato depressivo: tristezza, mancanza di speranza nel futuro, pianti frequenti, rinuncia a reagire, apatia
Stanchezza fisica: perdita di tutta l’energia necessaria per compiere le attività di vita quotidiana
Insonnia: svegliarsi frequentemente di notte e spesso presenza di incubi
Sbalzi di umore: passaggio veloce dalla calma all’irritazione
Scarsa concentrazione: problemi nel mantenere l’attenzione su quello che si sta facendo e difficoltà a portare a termine un compito
Problemi di salute: diminuzione o aumento in maniera significativa del peso, presenza continua di malesseri fisici quali mal di testa, mal di schiena, maggiore vulnerabilità ai mali di stagione.
Chiedere informazioni sulla malattia ed il suo decorso al proprio medico, le associazioni e ai diversi enti predisposti.
Confrontarsi con persone che vivono lo stesso disagio, partecipando per esempio ai gruppi psicoeducazionali e di mutuo aiuto organizzati dall’Associazione.
Accettare l’aiuto delle persone che ci sono vicine o imparare a chiederlo. E’ legittimo ed umano il desiderio di un po’ di riposo, di vedere un amico o di fare una passeggiata, di prendersi un piccolo spazio che permetta di recuperare energie.
Curare la propria salute.
Accettare la malattia, i suoi cambiamenti e la sua irreversibilità.
Riconoscere ed accettare i propri sentimenti di rabbia, frustrazione, ma anche che si sta facendo del proprio meglio nell’accudire il familiare malato.
La malattia di Alzheimer induce continui cambiamenti nelle esigenze, nelle risorse, nelle relazioni. Avere la consapevolezza di queste trasformazioni aiuterà il caregiver a fare anticipatamente delle scelte che renderanno la vita di tutti migliore e più semplice.
Perciò, è importante poter usufruire di alcuni benefici, tra i quali:
agevolazioni fiscali, permessi straordinari per i familiari che lavorano, richiesta di ausili sanitari, abbattimento delle barriere architettoniche;
assegno di indennità di accompagnamento;
contributo regionale per l’Alzheimer;
avviare se necessario le modifiche strutturali all’interno dell’abitazione per rendere l’abitazione più funzionale per il malato.
Indennità di accompagnamento (legge 11.2.1980, n. 18)
Intervento Economico Familiare (L.R. 28/91)
Contributo Regionale Alzheimer (L.R.9/2/01 n. 5 art. 40)
Permessi retribuiti (legge 104/1992)
Abbattimento delle barriere architettoniche (legge 13/1989)
Ospedale Sant’Antonio (Neurologia II)
Via Facciolati, 71 – per prenotare tel. 840 000664Ospedale Civile (Clinica Medica IV, Clinica Neurologica I, Clinica Geriatrica)
Via Giustiniani, 2 – per prenotare tel. 840 000664Ospedale dei Colli (Clinica Geriatrica, Clinica Neurologica II)
Via dei Colli, 4 – per prenotare tel. 049 8216909Centro Regionale per lo Studio e la Cura dell’Invecchiamento Cerebrale
c/o “Palazzo Bolis” – Selvazzano Dentro (PD) – tel. 049/8217025Associazione Malattia Di Alzheimer Padova (A.M.A.P.)
C/o “Casa Madre Teresa” – Via Mazzini 93 – Sarmeola (PD)